Ultimo rifugio del “ghibellin fuggiasco”, Ravenna deve essere stata per Dante Alighieri una destinazione a cui lungamente aveva aspirato, quale contesto finalmente favorevole per sé e per riunirvi i membri della sua famiglia. A dimostrarlo è il rapporto che mantenne con la città, la familiarità che dimostrò di avere con il territorio e con la famiglia dei conti da Polenta, come confermano diversi suoi scritti.
Tra i fattori positivi del suo esilio a Ravenna, anche quello di avere una possibile fonte di retribuzione, grazie all’incarico di rappresentanza garantitogli da Guido Novello da Polenta quale suo ambasciatore a Venezia presso il doge Giovanni Soranzo.
Le fonti storiografiche ci raccontano infatti che l’accettazione di questi incarichi, con il conseguente trasferimento di Dante a Ravenna, era stata preceduta da molteplici richieste e accordi di tipo economico. Ciò fu reso possibile nel 1311 anche grazie ai comuni legami con i cugini – i conti Guidi – già protettori di Dante, come si legge in un’accorata lettera di Dante all’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo.
Il periodo che Dante trascorse a Ravenna con i figli Pietro e Jacopo, che si accingevano alla stesura dei Commentari alla Commedia, e Antonia, che a Ravenna si fece monaca con il significativo nome di Suor Beatrice, è cruciale per la sua opera. Qui aveva tranquillità e ispirazione, qui completerà la composizione del ciclo della Commedia, qui venne colto dalla morte, causata dalla malaria contratta durante una sua missione a Venezia, e qui, ancora oggi, sono custodite le sue spoglie.