Nel cuore del centro storico di Ravenna si apre in tutta la sua bellezza la Biblioteca Classense, una tra le venti istituzioni librarie più grandi e importanti d’Italia.
Ospitata all’interno di un monastero camaldolese eretto a partire dal 1512, il complesso è considerato un vero e proprio gioiello architettonico e artistico tanto da richiamare ogni anno centinaia di visitatori curiosi di ammirarne gli spazi e i tesori conservati.
A partire dal primogenio complesso che hanno reso l’abbazia uno dei più grandi e maestosi monumenti dell’Ordine Camaldolese, la biblioteca – così come appare oggi – è frutto di continui cambiamenti e ampliamenti.
In particolare a segnare la sua storia fu la soppressione napoleonica dei beni monastici del 1803, quando l’antica libreria dei Monaci Camaldolesi fu eletta a Biblioteca Civica di Ravenna, accogliendo i fondi librari dei più importanti complessi religiosi della città.
Oggi la biblioteca è uno spazio dinamico aperto al pubblico, punto di riferimento per studenti e studiosi ma anche per appassionati di arte e cultura in generale.
Durante l’anno vengono infatti programmati moltissimi incontri, conferenze tematiche ma anche mostre d’arte e libraie con approfondimenti didattici e divulgativi. Uno spazio di Ravenna assolutamente da frequentare.
Gli spazi della Biblioteca Classense
All’interno delle sale e lungo i corridoi della biblioteca sono ancora visibili opere di numerosi artisti eseguite fra i secoli XVI e XVIII.
Tra gli ambienti più ammirati, senz’altro l’Aula Magna o Libreria, realizzata a cavallo fra Seicento e Settecento dall’abate Pietro Canneti, ornata di statue, stucchi e scansie lignee finemente intagliate e decorata con affreschi e dipinti di Francesco Mancini.
Da non perdere anche i suoi chiostri monumentali, l’antica sacrestia della chiesa di San Romualdo (ora Sala Muratori) e il grande refettorio cinquecentesco (dal 1921 Sala Dantesca), realizzato per volontà dell’abate Pietro Bagnoli nel tardo Cinquecento.
L’accesso a quest’ultimo avviene attraverso un vestibolo, oltrepassando una struttura lignea sorretta a destra e sinistra da due sculture di telamoni. Ne è autore l’artista Peruzzi che nel 1581 realizzò, sempre in legno, anche gli stalli del grande refettorio.
Notevole è poi il dipinto a tutta parete di Luca Longhi che rappresenta le Nozze di Cana, così come pregevole è il soffitto dipinto dagli stessi allievi di Longhi.
In questa sala, provvista di 120 posti a sedere, si tengono le maggiori conferenze dedicate al Sommo Poeta, e le cosiddette letture dantesche che richiamano i più illustri relatori a livello internazionale. Sempre a Dante è intitolata una delle più preziose raccolte di edizioni rare, donata dall’editore fiorentino Leo Olschki.
Si tratta di circa 5.000 volumi, tra cui le principali edizioni a stampa della Commedia fin dai primi incunaboli che, dal capostipite Leo Samuel Olschki, originario della Prussia orientale ma immigrato in Italia e fondatore tra l’altro della rivista “l’Alighieri”, è giunta fino a Ravenna attraverso cinque generazioni.
La biblioteca ospita una vasta raccolta di volumi appartenenti a varie tipologie documentarie: circa 800.000 opere a stampa, antiche e moderne, manoscritti, incisioni, mappe, fotografie, documenti d’archivio e materiale multimediale.
Di grande importanza è la sezione dedicata ai Fondi Antichi, che contiene volumi risalenti ai secoli XV-XVIII e circa 750 manoscritti, di cui la metà è databile tra il X ed il XVI secolo.
Tutto il patrimonio era originariamente custodito nell’antica Abbazia di Classe, dalla quale la Biblioteca prende ancora il nome, ma, dopo la battaglia di Ravenna del 1512, l’area non fu ritenuta più sicura e l’ordine dei camaldolesi si trasferì all’interno delle mura cittadine portando fortunatamente con sé i suoi tesori.
Tra questi tesori c’è la preziosa raccolta dei testi del Canzoniere e dei Trionfi di Petrarca, che contiene anche un originale del pittore Sandro Botticelli, e l’unico manoscritto al mondo che contenga le 11 commedie di Aristofane: il Codice Ravennate 429, databile alla metà del X secolo, arrivato in Occidente nel 1423 con Giovanni Aurispa, che salva questo e molti altri importanti manoscritti e codici dall’imminente caduta di Costantinopoli, portandoli a Firenze dall’umanista Niccolò de’ Niccoli.
Da questo manoscritto Bernando Giunta, nel 1516, realizza la prima edizione a stampa di Lisistrata e Tesmoforianti. Nel XVIII secolo, l’abate Pietro Canneti recupera il manoscritto a Pisa e lo porta alla biblioteca del monastero camaldolese di Classe.