Tre navate, separate da 12 colonne, e un campanile quadrato del IX secolo: era la chiesa preferita dalla famiglia dei da Polenta che, anche per questo motivo, la scelsero per celebrarvi i funerali del loro esimio ospite, Dante Alighieri.
Anche le spoglie del Sommo Poeta, morto a 56 anni di malaria, trovarono in questa chiesa, all’interno di un bellissimo sarcofago del IV secolo, situato nella cappella gentilizia della famiglia da Polenta, temporanea sepoltura. Detta cappella è disposta lungo la navata di sinistra e racchiusa da un’ogiva trecentesca.
I funerali di Dante vennero celebrati in pompa magna e, ancora oggi, tredici tocchi di campana ricordano ogni giorno la notte della morte, il 13 settembre 1321.
L’edificio originale venne eretto nel V secolo col nome di Basilica degli Apostoli, su commissione del Vescovo Neone, quindi più tardi venne intitolata a San Pietro Maggiore e, poi dal 1261 al 1810, e poi di nuovo tra il 1949 sino a oggi, i Francescani la scelsero come loro sede con l’attuale nome di San Francesco.
Poco o nulla rimane però dell’antica chiesa, benché con il restauro del 1921 siano state smantellate le sovrastrutture barocche per riportarla alla severa linearità, caratteristica del Trecento e più adeguata al sentire dell’ordine Francescano.
Di particolare bellezza è l’abside semicircolare all’interno, ed eptagonale all’esterno, che per il fenomeno della subsidenza appare oggi ribassata di 3 metri e mezzo rispetto al pavimento più recente. Di particolare suggestione è la cripta del X secolo, dalla volta a crociera, con un mosaico e un’epigrafe che richiamano la memoria di Neone, di cui la basilica conserva le ossa. Oggi il tappeto musivo è allagato e nella vasca nuotano dei pesci.
La basilica ospita anche tre belle cappelle di metà 1500, lungo la navata di destra: la prima ad opera dello scultore Tullio Lombardo, che ospitava anche la statua di Guidarello oggi esposta al Museo d’Arte di Ravenna; una cappella centrale dedicata a sant’Antonio e la terza dedicata a San Rocco, con la cupola affrescata da Andrea Barbiani (1755) e una tela di Gaspare Sacchi (1517-1536).