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Luoghi, i personaggi e le storie che raccontano l’anima autentica di Ravenna

L’Aula Magna della Biblioteca Classense

Nella primavera del 2025, dopo un lungo e delicato restauro, ha riaperto le porte l’Aula Magna della Biblioteca Classense.
Commissionata nei primi anni del XVIII secolo, dall’abate Pietro Canneti, è un sublime monumento che celebra il sapere e l’ordine camaldolese, votato alla cultura e alla sua diffusione.

L’abate Pietro Canneti

Giambattista Canneti (1659-1730), cremonese, si diede alla carriera ecclesiastica assumendo il nome di Pietro. Scelse il candido abito camaldolese. Dal 1704, per circa un decennio, fu l’Abate del monastero di Classe.

Canneti era un erudito stimatissimo che, assistito dal bibliotecario dell’ordine Mariangelo Fiacchi, compì un’ impresa titanica: trasformare la modesta libreria monastica di Classe in una moderna struttura enciclopedica.

Acquistò rari e preziosi manoscritti (tra cui l’Aristofane, del X secolo), incunaboli e una quantità pressoché infinita di opere che abbracciavano tutte le sfere della cultura.
Per contenere tutto questo patrimonio, commissionò la realizzazione della biblioteca monastica, impiegando i più abili artisti a disposizione, monaci e laici.

Scalinata a doppio ordine, decorata con stucchi, che porta all'ingresso dell'Aula Magna della Biblioteca Classense.
Ravenna, Biblioteca Classense: il doppio scalone barocco.

In studium non in spectaculum

Si accede tramite uno scenografico doppio scalone di gusto barocco, con stucchi, iscrizioni, ritratti e statue. Fu commissionato dal Canneti e rielaborato tra il 1777-1778 dall’architetto ravennate Camillo Morigia, poco prima di cimentarsi nella Tomba di Dante  e nella facciata di Santa Maria in Porto. Sulla sommità del portale compare la scritta In studium non in spectaculum.

È una colta citazione dal De tranquilitate animi di Seneca, ma dal significato ribaltato. Il poeta-filosofo coniò “non in studium sed in spectaculum” riferendosi alla biblioteca di Alessandria, che sembrava più un luogo di ostentazione che di conoscenza. I camaldolesi ne ribaltarono il significato: la sala era per lo studio, non per lo spettacolo.

Foto dell' interno della Aula Magna della Biblioteca Classense con le scansie lignee e gli stucchi.
Ravenna, Aula Magna della Biblioteca Classense

L’Aula Magna: un’opera di monaci e laici

Oggi siamo riaccolti dal profumo del legno e dalla luce avvolgente, che sembra diffondersi dagli splendidi affreschi che decorano la sala. L’abate Canneti si avvalse della collaborazione di alcuni capaci monaci dell’ordine.

Il disegno è del padre-architetto Giuseppe Antonio Soratini, a cui si deve anche la facciata barocca nel chiostro d’ingresso e la scalinata d’onore di Palazzo Rasponi dalle Teste. Le scaffalature lignee, finemente intagliate, sono state eseguite sotto la supervisione di padre Fausto Pellicciotti, capo ebanista e dei falegnami.

Le sculture di Antonio Martinetti

Al di sopra dei due ordini delle scansie lignee, sopra il ballatoio, troviamo le opere di Antonio Martinetti. Le pareti e i soffitti sono decorati da candidi stucchi: incorniciano i ritratti di abati e monaci illustri, racchiudono i simboli delle Accademie, in un contesto di putti festosi e svolazzanti.

Alle quattro estremità, agli angoli del ballatoio ligneo, troviamo le statue dei quattro Santi Camaldolesi più importanti.

Foto del ballatoio della Aula Magna con le statue di San Romualdo e San Pietro Damiani.
Ravenna, Biblioteca Classense, dettaglio della parete ovest dell’Aula Magna. Foto Archivio Comune di Ravenna.

Dando le spalle alla porta d’ingresso, alla nostra sinistra, c’è San Romualdo, fondatore dell’eremo di Camaldoli e della Congregazione Camaldolese, che mostra il libro delle sue esplicazioni ai Salmi.

Procedendo con lo sguardo in senso orario, troviamo San Pietro Damiani, il primo biografo di San Romualdo, con il pugno destro stretto verso l’alto, in segno di vittoria nella lotta contro le passioni.

San Guido d’Arezzo, con la mano destra alzata come per dirigere un’orchestra e che stringe, nella mano sinistra, uno spartito con una mano d’oro. A lui si deve la scrittura musicale del tetragramma e la cosiddetta Mano Guidoninana, uno stratagemma che facilitava i cantori a memorizzare la musica, avvalendosi delle falangi. Infine c’è San Guitmondo, benedettino, teologo e sostenitore della transustanziazione, che mostra un ostensorio.

I dipinti di Francesco Mancini

Gli affreschi di Francesco Mancini, allievo di Carlo Cignani, furono eseguiti su Commissione dell’abate Canneti tra il 1711 e il 1713. Sulla porta d’ingresso vi dipinta è l’Unione della chiesa Greca e Latina in presenza di Ambrogio Traversari. Monaco camaldolese, discendente dai Traversari, sostenne nel concilio di Firenze l’unione dottrinale e gerarchica delle due chiese, facendo addirittura da interprete, perché parlava greco. Dal lato opposto, il monaco camaldolese Graziano offre il libro dei Canoni, da lui riordinato, alla Giustizia, sotto lo sguardo di Papa Gregorio IX.

Infine, nel 1714, Mancini portò a compimento l’affresco sul soffitto: il Trionfo della Divina Sapienza.

Foto dell'affresco nel soffitto dell'Aula Magna.
Ravenna, Aula Magna della Biblioteca Classense, affresco sul soffitto di Francesco Mancini, sec. XVIII

La Sapienza, ispirata da una luce divina e dall’alto di una nuvola sorretta da due putti, ordina alla Teologia, alla Filosofia e alle altre scienze di abbattere le forze del Male. L’Eresia è rappresentata come una vecchia orribile, con un libro da cui spuntano serpenti; lo Scisma è un uomo-bestia, che sembra stia cercando di aprirsi il capo;  l’Ignoranza è bendata, perché cieca.

I monaci furono entusiasti di quest’opera: oltre al vitto e alla fornitura di tutto il materiale di cui necessitava Mancini, gli versarono 100 scudi in più rispetto al contratto, che stabiliva 500 scudi soltanto. Questo “per maggior onore del S.r Francesco” e “per sua opera virtuosa“.

Nella primavera del 2025, dopo un lungo e delicato restauro, ha riaperto le porte l'Aula Magna della Biblioteca Classense. Commissionata nei primi anni del XVIII secolo, dall'abate Pietro Canneti, è un sublime monumento che celebra il sapere e l'ordine camaldolese, votato alla cultura e alla sua diffusione.

L'abate Pietro Canneti

Giambattista Canneti (1659-1730), cremonese, si diede alla carriera ecclesiastica assumendo il nome di Pietro. Scelse il candido abito camaldolese. Dal 1704, per circa un decennio, fu l'Abate del monastero di Classe. Canneti era un erudito stimatissimo che, assistito dal bibliotecario dell'ordine Mariangelo Fiacchi, compì un' impresa titanica: trasformare la modesta libreria monastica di Classe in una moderna struttura enciclopedica. Acquistò rari e preziosi manoscritti (tra cui l'Aristofane, del X secolo), incunaboli e una quantità pressoché infinita di opere che abbracciavano tutte le sfere della cultura. Per contenere tutto questo patrimonio, commissionò la realizzazione della biblioteca monastica, impiegando i più abili artisti a disposizione, monaci e laici.
Scalinata a doppio ordine, decorata con stucchi, che porta all'ingresso dell'Aula Magna della Biblioteca Classense.
Ravenna, Biblioteca Classense: il doppio scalone barocco.

In studium non in spectaculum

Si accede tramite uno scenografico doppio scalone di gusto barocco, con stucchi, iscrizioni, ritratti e statue. Fu commissionato dal Canneti e rielaborato tra il 1777-1778 dall'architetto ravennate Camillo Morigia, poco prima di cimentarsi nella Tomba di Dante  e nella facciata di Santa Maria in Porto. Sulla sommità del portale compare la scritta "In studium non in spectaculum". È una colta citazione dal De tranquilitate animi di Seneca, ma dal significato ribaltato. Il poeta-filosofo coniò "non in studium sed in spectaculum" riferendosi alla biblioteca di Alessandria, che sembrava più un luogo di ostentazione che di conoscenza. I camaldolesi ne ribaltarono il significato: la sala era per lo studio, non per lo spettacolo.
Foto dell' interno della Aula Magna della Biblioteca Classense con le scansie lignee e gli stucchi.
Ravenna, Aula Magna della Biblioteca Classense

L'Aula Magna: un'opera di monaci e laici

Oggi siamo riaccolti dal profumo del legno e dalla luce avvolgente, che sembra diffondersi dagli splendidi affreschi che decorano la sala. L'abate Canneti si avvalse della collaborazione di alcuni capaci monaci dell'ordine. Il disegno è del padre-architetto Giuseppe Antonio Soratini, a cui si deve anche la facciata barocca nel chiostro d'ingresso e la scalinata d'onore di Palazzo Rasponi dalle Teste. Le scaffalature lignee, finemente intagliate, sono state eseguite sotto la supervisione di padre Fausto Pellicciotti, capo ebanista e dei falegnami.

Le sculture di Antonio Martinetti

Al di sopra dei due ordini delle scansie lignee, sopra il ballatoio, troviamo le opere di Antonio Martinetti. Le pareti e i soffitti sono decorati da candidi stucchi: incorniciano i ritratti di abati e monaci illustri, racchiudono i simboli delle Accademie, in un contesto di putti festosi e svolazzanti. Alle quattro estremità, agli angoli del ballatoio ligneo, troviamo le statue dei quattro Santi Camaldolesi più importanti.
Foto del ballatoio della Aula Magna con le statue di San Romualdo e San Pietro Damiani.
Ravenna, Biblioteca Classense, dettaglio della parete ovest dell'Aula Magna. Foto Archivio Comune di Ravenna.
Dando le spalle alla porta d'ingresso, alla nostra sinistra, c'è San Romualdo, fondatore dell'eremo di Camaldoli e della Congregazione Camaldolese, che mostra il libro delle sue esplicazioni ai Salmi. Procedendo con lo sguardo in senso orario, troviamo San Pietro Damiani, il primo biografo di San Romualdo, con il pugno destro stretto verso l'alto, in segno di vittoria nella lotta contro le passioni. San Guido d'Arezzo, con la mano destra alzata come per dirigere un'orchestra e che stringe, nella mano sinistra, uno spartito con una mano d'oro. A lui si deve la scrittura musicale del tetragramma e la cosiddetta Mano Guidoninana, uno stratagemma che facilitava i cantori a memorizzare la musica, avvalendosi delle falangi. Infine c'è San Guitmondo, benedettino, teologo e sostenitore della transustanziazione, che mostra un ostensorio.

I dipinti di Francesco Mancini

Gli affreschi di Francesco Mancini, allievo di Carlo Cignani, furono eseguiti su Commissione dell'abate Canneti tra il 1711 e il 1713. Sulla porta d'ingresso vi dipinta è l'Unione della chiesa Greca e Latina in presenza di Ambrogio Traversari. Monaco camaldolese, discendente dai Traversari, sostenne nel concilio di Firenze l'unione dottrinale e gerarchica delle due chiese, facendo addirittura da interprete, perché parlava greco. Dal lato opposto, il monaco camaldolese Graziano offre il libro dei Canoni, da lui riordinato, alla Giustizia, sotto lo sguardo di Papa Gregorio IX. Infine, nel 1714, Mancini portò a compimento l'affresco sul soffitto: il Trionfo della Divina Sapienza.
Foto dell'affresco nel soffitto dell'Aula Magna.
Ravenna, Aula Magna della Biblioteca Classense, affresco sul soffitto di Francesco Mancini, sec. XVIII
La Sapienza, ispirata da una luce divina e dall'alto di una nuvola sorretta da due putti, ordina alla Teologia, alla Filosofia e alle altre scienze di abbattere le forze del Male. L'Eresia è rappresentata come una vecchia orribile, con un libro da cui spuntano serpenti; lo Scisma è un uomo-bestia, che sembra stia cercando di aprirsi il capo;  l'Ignoranza è bendata, perché cieca. I monaci furono entusiasti di quest'opera: oltre al vitto e alla fornitura di tutto il materiale di cui necessitava Mancini, gli versarono 100 scudi in più rispetto al contratto, che stabiliva 500 scudi soltanto. Questo "per maggior onore del S.r Francesco" e "per sua opera virtuosa".

By the Local Editorial Staff
E-mail: turismo@comune.ravenna.it

Publication date:23 June 2025
Revision date:24 June 2025

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